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Saussure, Ferdinand de.

Linguista svizzero. Si laureò all'università di Lipsia nel 1880 con una tesi dal titolo De l'emploi du génitif absolu en sanscrit, data alle stampe l'anno successivo. Due anni prima S. aveva pubblicato il Mémoire sur le système primitif des viyelles dans les langues indoeuropéennes, una ricostruzione del sistema fonematico dell'indoeuropeo comune, innovativa rispetto al passato e ricca di suggerimenti per la trattazione di qualsivoglia sistema fonologico. Subito dopo la laurea si trasferì a Parigi, dove divenne allievo del francese M. Bréal, padre della semantica, e di L. Havet e J. Darmesteter. L'anno successivo successe a Bréal nella nomina a maître de conférence alla Sorbona, carica che ricoprì per dieci anni; molti dei suoi discepoli di questo periodo figureranno tra i principali linguisti e fonetisti della prima metà del XX sec. Nel 1891 lasciò Parigi per recarsi a Ginevra, dove insegnò Lingue indoeuropee, Sanscrito e Linguistica generale. Nel 1912, in seguito a una grave malattia, fu costretto a ritirarsi fino alla morte nel castello familiare di Vufflens. Alla tesi di laurea e al Mémoire non fecero seguito altre pubblicazioni a eccezione di pochi articoli, riuniti poi nel Recueil des publications scientifiques de F.d.S. (1922). L'opera per cui S. passò alla storia si deve a tre suoi allievi: Ch. Bally, A. Sechehaye e A. Riedlinger, che raccolsero gli appunti di linguistica generale, consultarono i rari appunti manoscritti del maestro e fecero confluire il tutto nel celebre Cours de linguistique générale (1916). L'opera in un primo momento venne accolta piuttosto freddamente; soltanto le ristampe successive registrarono un consenso entusiasta e unanime, immediatamente seguito da varie traduzioni in numerose altre lingue. Intorno agli anni Venti e Trenta si affermò così una sorta di “vulgata” del pensiero di S. che dipingeva l'autore come un sostenitore del primato dello studio della lingua “in se stessa e per se stessa”, in altri termini un sostenitore del primato della linguistica sincronica in opposizione a quella diacronica. Secondo la vulgata, fondamento della lingua sarebbe l'arbitrarietà del segno che unisce, in modo arbitrario appunto, significante e significato, assumendo a sua volta un valore che dipende unicamente dal posto che esso occupa nel sistema, atemporale e astorico, della langue. Quest'interpretazione suscitò consensi e critiche. La lettura vulgata, tuttavia, ignorava completamente non solo alcune intuizioni del pensiero di S., ma anche intere pagine, se non blocchi di pagine, del Cours in cui, ad esempio, si identificava la materia della linguistica con i fatti linguistici e le relazioni tra tali fatti, con le lingue, la masse parlante e il temps: dunque con contesti storici. Del tutto ignorata dalla vulgata era pure la definizione dei tre compiti precipui della linguistica: fare la storia interna ed esterna, nonché la descrizione sincronica e diacronica, sociologica e storico-culturale; individuare le forze universali operanti in tutte lingue e limitative, come tali, delle possibilità di organizzazione arbitraria; stabilire i propri termini teorici e concetti. Dopo la lettura di queste pagine non risultò più sostenibile l'immagine di un S. antistorico e sostenitore della necessità di un'indagine sincronica delle varie lingue. Intorno agli anni Trenta e Quaranta diversi studiosi misero in luce l'infedeltà della vulgata, sottolineando l'esigenza di ritornare alle fonti originarie del pensiero saussuriano, ovvero ai manoscritti degli allievi e del maestro. L'immagine di S. che ne risultò fu del tutto nuova rispetto alla precedente. In base ad essa, preoccupazione primaria del linguista fu quella di considerare la teoria del linguaggio umano e delle lingue in una prospettiva di tipo semiologico, procedendo cioè a un confronto con altri mezzi di comunicazione. Nell'ambito di tale prospettiva, l'unica in grado di dare conto di ciò che nella parola si innalza al di là della mera segnicità di altri modi di comunicazione, S. elaborò una lunga serie di termini teorici: l'arbitrarietà più o meno assoluta o relativa della suddivisione dei sensi in significati, delle espressioni in significanti e della unione di significati e significanti in segni; la reciproca delimitazione dei segni entro il sistema (la langue); il carattere di esecuzione, di realizzazione contingente insito nei singoli atti comunicativi (la parole); la scomponibilità dei segni in unità minori, da unire le une con le altre in base alle regole della sintassi; la produttività del sistema, che si esplica nella possibilità di segni e unità sempre nuovi. In un orizzonte di tipo semiologico, le peculiarità delle lingue e del linguaggio risiedono nella incalcolabilità degli spostamenti di senso delle parole, nella sempre possibile dilatabilità del significato di ogni parola, nella concezione della parole individuale come luogo e fonte di risistemazione dei significati e, quindi, della langue medesima, che risulta allora calata nella dimensione della masse parlante e del temps. Secondo S. compito precipuo dei linguisti è quello di distinguere accuratamente le varie dimensioni entro cui si collocano i fatti linguistici reali: la dimensione della parole, cioè dell'uso concreto; la dimensione della langue, cioè della forma; la dimensione di ciò che, in una langue, è ad essa interno, nonché la dimensione esterna dei suoi rapporti con i parlanti; la dimensione della simultaneità sincronica, della successione diacronica e dell'universalità pancronica. Il dominio di una lingua non è qualcosa che si possa apprendere: oggetto di apprendimento è la lingua, non il linguaggio; quest'ultimo è parte costitutiva del nostro cervello e, nel suo funzionamento, è condizionato da vincoli biologici e psicologici, che solo una considerazione di tipo pancronico può indagare (Ginevra 1857 - Vufflens 1913).